Non sono un docente e questo non è un manuale; si tratta di esempi che ho affrontato.
Se stessi cercando degli spunti di miglioramento per la tua organizzazione, dai un'occhiata qui.
A.1. Nella mia impresa lo Smart Working non serve, non lo voglio io e non lo vogliono i miei collaboratori.
Quando ci si rifiuta di lavorare in una modalità più "agile" (come si dice oggi) o più "intelligente" (come da traduzione letterale), generalmente significa che l'organizzazione di quel lavoro non è codificata né standardizzata né compresa, e cioè è improvvisata; e dunque, il responsabile preferisce comandare a braccio, e il collaboratore preferisce non doversi assumere oneri organizzativi.
L'organizzazione gestionale del lavoro è qualcosa che diamo per scontato appartenga al nostro istinto o cultura, il che è vero; ma è anche vero che non abbiano tutti lo stesso istinto, esperienza, cultura.
Gli USA che è il paese multietnico per eccellenza ha il miglio livello di codifica delle istruzioni, cioè sono a prova di falsa interpretazione; forse ci fidiamo troppo del nostro modo di vedere ritenendo che sia l'unico possibile.
Lo Smart working presuppone un standardizzazione dell'organizzazione e degli strumenti di lavoro; ecco perché viene benissimo quando si devono condividere videate software, perché ciò che è informatizzato è già stato standardizzato.
Occorre quindi procedurare mansioni e loro input, output, e criticità.
A.2. La mia impresa ha una digitalizzazione spinta ma non ottengo i dati che mi interessano.
La digitalizzazione ha prevalso sull'analisi del flussi informativi, acquisti dei S.I. per moda e non per analisi dei fabbisogni.
Bisogna riesaminare i flussi dei processi (work flow), sia come lavorazioni che come informazioni; ridefinire i le attività chiave e le risorse chiave, misurare le performance delle competenze chiave che la distinguono (o che la distinguerebbero) sul mercato (Posizionamento Strategico).
Definito quindi il fabbisogno informativo, occorre assicurarsi di ottenere tutte la app specialistiche e la loro integrazione in una sintesi di 'business intelligence'.
A.3. Siamo bravissimi e velocissimi, ma non come i nostri concorrenti.
L'impresa ha la sensazione di volare ma forse usa modelli organizzativi vecchi, i quali sono sfruttati alla saturazione e pertanto non sembrano migliorabili. Forse ha anche innovato dei macchinari ma non i processi organizzativi che si trascurano spesso e forse non sono neppure schematizzati.
Vanno schematizzati gli aspetti più intangibili dell'organizzazione del lavoro e da li misurare l'efficienza 'reale' (non quella percepita per il fatto di sentirsi affannati); a quel punto si comprenderà anche il fabbisogno di nuovi strumenti di produttività: (ad es.)
Office Automation,
Customer Relationship Management,
Enterprise Resource Plannig,
Manufacturing Execution System,
Manufacturing Resource Planning,
A.4. I miei collaboratori sono fantastici ma se non li controllo si perdono.
Probabilmente si tratta di yes-man non abituati o non autorizzati a proporre.
Il vantaggio apparente può anche consistere nel risparmarsi delle proposte non qualificate, ma di fatto la necessità di un controllo stretto si rileva una perdita di tempo, di concentrazione, e di qualità del lavoro.
Occorre definire il processo di delega, e con esso il confine dell'autonomia e l'aspetto creativo della mansione; attrezzare e istruire il collaboratore in coerenza con l'autonomia che gli si richiede
A.5. I miei collaboratori non mi ascoltano, eppure gliel'ho detto tante volte, ripetono sempre gli stessi errori e non imparano mai.
I collaboratori non hanno percepito il problema, non riconoscono quindi l'approccio strutturale della soluzione; probabilmente non ci trovano neppure i vantaggi e le facilitazioni per loro; dunque non traggono la lezione e gli resta solo la paura di essere incompresi o perseguitati.
Occorre dettagliare le attività che gli competono, con i rispettivi input, output e criticità; cioè redigere il 'mansionario' con relative deleghe, obiettivi, oneri e onori.
A.6. Mi reputo un ottimo imprenditore ma la mia azienda non gira come vorrei.
Fa riferimento a uno stereotipo di imprenditore basato più sulla "genetica" che sulla "evoluzione".
Per taluni imprenditori è più importante avere ragione che non aumentare i profitti e la stabilità dell'impresa; il proprio ego è già soddisfatto, e il maggior profitto è solo ... uva acerba.
L'area di confort prevale impigrisce la crescita; l'impresa rischia la sopraffazione della concorrenza, sino a quando o una forte paura motiverà l'imprenditore a innovare, oppure una stretta del mercato ne decreterà il collasso.
Occorre individuare dei benchmark di posizionamento strategico e dei Key Performance Indicator (KPI) sul grado di efficienza espresso; da li si riparte per definire un piano di innovazione. Vedi Modelli di Business.
B.1. (R&S di prodotto) Sviluppiamo prodotti nuovi ma non se li compre nessuno.
Forse lo sviluppo fa troppo leva sulla disponibilità di tecnologia e meno sui bisogni, spesso è complice qualche finanziamento per l'innovazione, e si finisce per produrre la "ruota triangolare" (nessuno la fa perché nessuno non la vuole).
Spesso accade che il nuovo prodotto vada semplicemente collocato su un mercato diverso rispetto a quello di sbocco abituale.
Lo sviluppo di un nuovo prodotto andrebbe accompagnato da un'analisi del Posizionamento strategico potenziale; basta poco per arricchire un prodotto originale di altri fattori dell'Utilità che lo rendano appetibile.
B.2. (R&S di processo) Faccio questo lavoro da tanti anni e quindi non capisco come mi si possa insegnare qualcosa.
E' la classica affermazione della competenza iniziata e finita con la "gavetta" ma priva di aggiornamenti o di analogie con altri settori; spesso è anche priva di nozioni di base e pertanto le nuove conoscenze non attecchiscono.
Occorre inserire delle giovani menti, dell'era digitale, e creare una dialettica tra l'esperienza e il coraggio di osare.
Ad ogni modo la crescita interna porta ad una innovazione 'Botton-Up' che, sebbene possa produrre persino dei brevetti, si assesta verso una saturazione.
Tuttavia le innovazioni radicali arrivano dall'esterno, sono Top-down e portano i grandi salti di efficienza o persino la creazione di nuovi prodotto-servizio.
Quindi il collegamento con il mondo esterno, a caccia di innovazione è vitale per la crescita dell'organizzazione.
C.1. I programmi sono fatti per essere modificati
( cioè )
purtroppo finiranno per essere modificati.
Il problema dello slittamento dei tempi spesso non dipende da fattori imponderabili, ma dall'aver ignorato alcuna attività; quelle più intangibili.
Gli strumenti della pianificazione, normalmente, non distinguono l'attendibilità delle attività, per cui si tende e selezionare "dentro o fuori" (On / Off). Le attività materiali le si ritengono attendibili e quelle immateriali spesso le si omettono. La Pianificazione viene così privata di Milestone, di verifiche fondamentali e di opzioni alternative.
Occorre integrare nella pianificazione anche le attività più "eteree", monitorare l'effettivo stato di avanzamento; analizzare i margini di slittamento libero, prevedere dei Milestone come fossero dei bivi con alternative.
C. 2. Non ho completato quel piano "strategico" perché l'ho migliorato e quindi l'ho posticipato.
Il problema di un piano che si modifica di continuo (e che quindi non parte mai) deriva spesso da una scarsa "mappatura" degli "stakeholder"; non li si conoscono bene, non si sa cosa li attragga e cosa li respinga, non si sa siano sono affidabili, se siano dei veri facilitatori o solo degli imbonitori oppure dei detrattori.
Spesso si attribuiscono a dei fornitori più capacità di quelle che possiedono per il solo fatto di averci fatto una buona prima impressione; dopo di che abbiamo generalizzato il giudizio e ne siamo rimasti vittime.
Mappare gli stakeholder attraverso le chiavi di lettura: chi sa fare cosa, chi ci perde, chi ci guadagna, loro vantaggi, loro paure. Saltare questo passaggio significa far saltare il progetto.
C.3. Ho completato puntualmente quel programma "operativo" ma il risultato è stato un declassamento rispetto alle attese.
Forse non si sono valutati bene i "vincoli" del problema e le "interdipendenze" delle attività (input e output, precedessori e successori). Quando queste sono state avviate era troppo tardi per correggere il tiro e hanno proseguito per inerzia (es, fornitori che hanno cominciato a lavorare).
Il problema delle pianificazioni temporali non è la stima dei tempi, ma la rappresentazione delle interdipendenze e l'individuazione delle minacce, quelle si che fanno saltare i tempi.
Nelle pianificazioni di un progetto o di una strategia, è importante esplicitare (anche) i compiti dei controllori e non solo quelli degli operativi, sebbene riguardino un livello più altro di astrazione; sono di grande aiuto la Mappe Mentali e i Task Manager.
C.4. Come imprenditore devo occuparmi della pianificazione "strategica", non ho tempo di occuparmi dell'organizzazione operativa.
Forse sono persone assorbite dalla necessità di disegnare un "futuro", e non hanno mai avuto il tempo, e forse le basi, per organizzare il livello operativo ( l' "adesso" ).
Possono provarci ma devono imparare le tecniche della organizzazione operativa che talvolta sono di altra estrazione rispetto al loro skill.
Possono inserire dei "mastini" di capo-reparto e fargli gestire operai e impiegati; ma rischiano di essere estromessi dalle decisioni e di non patrimonializzare le procedure, che sono intangibili.
Possono invece decidere di perfezionare processi, procedure e mansionari; far crescere il proprio personale e patrimonializzare l'organizzazione del lavoro; a quel punto è anche più facile selezionare e formare gli skill necessari all'impresa.
C.5. Come imprenditore sono assorbito dalla organizzazione "operativa" e non ho tempo per occuparmi delle strategie.
Alla prima ombra di crisi scopriranno di non aver costruito un futuro, perché non si sono fermati abbastanza a pianificare; erano troppo concentrati sul quotidiano, che evidentemente e perciò li assorbiva.
Occorre adottare metodi e tecniche di strategia d'impresa, non è più il momento di affidarsi alla sorte ma neppure quello di improvvisare.
Occorre adottare strumenti e tecniche per una una descrizione del "Modello di Business" che ne fotografi lo stato attuale (As Is) e ne progetti uno futuro (To Be).
D.1. Il prodotto era perfetto, il prezzo anche, ma il cliente non ha comprato.
Si tendono a valutare i processi decisionali del cliente solo su parametri funzionali, e si sottovalutano le leve emotive del cliente.
Mappare il profilo del cliente attraverso le funzioni richieste, indagare quelle predecessori e successori che lui deve comunque affrontare; ma soprattutto analizzare i "vantaggi" e i "timori" connessi ... all'acquisto ... da noi.
D.2. I miei commerciali sono fantastici, ma se non possono incontrare fisicamente il cliente non vendono.
Forse fanno troppo leva sul "fascino personale" e sull'improvvisazione che sulla tecniche di presentazione.
La corsa alla digitalizzazione potrebbe mettere in crisi i vecchi modelli one-to-one, in cui il commerciale interagisce con il cliente e ne legge le emozioni.
Occorre "strutturare" le presentazioni in modo da non lasciare il cliente in balia delle obiezioni; il che significa conoscere bene la "Creazione del Valore" che si offre e presentarla ancora meglio.
D.3. Devo preparare un'offerta come tante altre, eppure il mio ufficio tecnico (sistematicamente) teme di esporsi con un grosso margine di errore e non sa stimare il tempo di offerta.
E' il classico profilo del tecnico "sotto schiaffo", se va bene il merito è dell'azienda se va male la colpa è sua.
Il processo di "delega" è incompleto o inefficace, occorre perfezionarlo attraverso obiettivi, strumenti, oneri e onori; è importante consolidare e documentare la base di conoscenze che va ad utilizzare per creare l'offerta.
Il che significa costruire una "metrica" di tutti quel compiti che sono considerati imponderabili, eppure sono ripetitivi.
D.4. Ho preso una commessa ma sono sorti tanti imprevisti che andrò in perdita.
Forse c'è stata una sovra-valutazione delle proprie "competenze chiave" e/o una sotto-valutazione di quelle necessarie in quello specifico contesto.
Occorre instaurare subito una partnership con figure che abbiano un maggior grado di vissuto sul tema e programmare un affiancamento efficace (technology transfer on the job).
In generale occorre riesaminare le competenze e le lacune dell'area tecnica affinché l'impresa possa cimentarsi in altri mercati; e in questo ponderare gli scenari di Make-or-Buy.
E.1. I miei fornitori sono i migliori sul mercato ma spesso mi dicono che faccio richieste assurde.
Forse sono fornitori adulatori, che vendono quello che hanno e non sempre quello che ti serve, o forse sei tu cliente che non hai ancora focalizzato i tuoi bisogni e quindi non sai chiedere.
Occorre riesaminare i 'requisiti utente' per sapere esattamente cosa serve acquistare; se fosse il caso far crescere i fornitori, analizzarne altri, integrare più soluzioni, svilupparne di custom.
E' infatti possibile che tu abbia focalizzato (davvero) un nuovo bisogno e, se esteso ad un segmento di domanda, troverai presto offerta.
E.2. I miei consulenti mi hanno già offerto un prodotto simile e non sono stato soddisfatto, perché dovrei provarci ancora ?
I consulenti sono l'estensione del brain-power aziandale, gli si affida quello che non conviene sviluppare all'interno, sapendo che per loro è lavoro continuo e quindi materia di specializzazione, per l'impresa sarebbe troppo oneroso garantirsi il know how solo per il fabbisogno interno.
Occorre tuttavia saper capire quali sono i domini di competenza dei consulenti; non è salubre affidargli compiti specialistici solo perché sono la prima porta verso quella tale materia.
Analizzare il portfolio, documentarsi sulle referenze.
Ad ogni modo, stante la generale tendenza alla specializzazione e al lavoro di rete, non è escluso che si possano utilizzare consulenti come Temporary Specialist Manager e quindi farli coordinare altri consulenti di branca.
F.1. I miei concorrenti appartengono a due categorie, o sono più scarsi di me oppure azzardano troppo (... non si sanno fare i conti).
Forse si sottovalutano le qualità di un'offerta, che peraltro si ritengono già dominate e sfruttate al meglio.
Il segmento delle compagnie Low Cost è nato in tutti i settori. Low Cost non significa Low profit ma piuttosto Smart Process.
Occorre esaminare bene i fattori chiave della competitività (Posizionamento Strategico) ed analizzare meglio il modello di business.
Se quei concorrenti che, a nostro giudizio, sarebbero dovuti fallire, rispondessero ancora al telefono, o stanno architettando un 'dumpung' (offerte sottocosto per far abbandonare i concorrenti), oppure i loro conteggi riflettono un'efficienza reale.
In ogni caso bisogna considerarli, imitarli sarebbe un errore (è sempre un errore imitare), la parola d'ordine è strategia di "distinzione".
F.2. I nostri concorrenti offrono un prodotto migliore, ma non capisco come possano anche offrirlo un prezzo più basso.
Si ammette che il concorrente ci sappia fare, ma si ignorano quali siano le aree di ottimizzazione. Il concorrente ha un ottimo modello di business perché non lascia trasparire i fattori chiave del successo, dunque si protegge bene dall'imitazione (a prescindere dalla tutela intellettuale).
Occorre rivedere il Posizionamento Strategico, aggiornare l'analisi SWOT, individuare una strategia di distinzione, implementare i fattori chiave per lo sviluppo della nuova strategia.
F.3. Il mio prodotto ha il miglior rapporto qualità prezzo, ma ci sono clienti che comprano comunque i prodotti concorrenti.
Forse stai confrontando i "prodotti" e non la "comunicazione dell'offerta", che rappresenta invece il mezzo con cui il cliente percepisce il tuo Prodotto.
Rivedere:
la descrizione del prodotto alla luce dei fattori dell'Utilità;
l'immagine dell'impresa nell'ambito del Posizionamento strategico;
l'efficacia dei canali di Comunicazione utilizzati
(... in quest'ordine).